Il no giusto detto al momento giusto può cambiare il corso della storia.
Per esempio, negli anni della segregazione razziale, quando chiesero a Rosa Parks di cedere il posto su un autobus di Montgomery, il suo pacato ma risoluto rifiuto, espresso proprio al momento giusto, contribuì a far nascere il movimento per i diritti civili. “Quando [il conducente] vide che ero ancora seduta” raccontò “e mi chiese se avessi intenzione di alzarmi, io dissi: No!”.
Al contrario di quanto si crede, il suo coraggioso no non fu dettato da una disposizione o da una personalità assertiva. Infatti, quando Rosa diventò segretaria del presidente della circoscrizione di Montgomery della Naacp (l’Associazione Nazionale per la Promozione dei Diritti delle Persone di Colore), spiegò: “Ero l’unica donna, loro avevano bisogno di una segretaria, e io ero troppo timida per dire di no”.
La decisione presa sull’autobus scaturì piuttosto da una profonda convinzione sulla scelta che voleva fare in quel momento. Quando il conducente le ordinò di liberare il posto, raccontò Rosa, “Sentii una determinazione avvolgere il mio corpo come una trapunta in una notte d’inverno”. Non sapeva di accendere la scintilla di un movimento che si sarebbe riverberato in tutto il mondo. Però sapeva esattamente cosa voleva lei. Sapeva, anche mentre la arrestavano, che “era davvero l’ultima volta che sarei stata umiliata in quel modo”.
Per evitare quell’umiliazione valeva la pena di rischiare il carcere.
Per lei era essenziale.
È improbabile che ci si trovi ad affrontare una situazione simile, ma possiamo comunque prendere ispirazione da Rosa Parks. Possiamo pensare a lei quando avremo bisogno del coraggio necessario per osare e dire no. Possiamo ricordarci della forza della sua convinzione quando dovremo resistere alla pressione sociale che vuole farci arrendere al superfluo.
Hai mai avvertito come ingiusto qualcosa che altri volevano spingerti a fare?
Hai mai vissuto il conflitto tra una tua convinzione interiore e un’azione dettata dall’esterno?
Hai mai detto sì quando in realtà volevi dire no, solo per evitare contrasti o attriti?
Ti sei mai sentito troppo spaventato o in soggezione per declinare un invito o una richiesta di un capo, un collega, un amico, un vicino di casa o un familiare perché avevi paura di deluderlo?
Se ti è successo, non sei l’unico.
Destreggiarsi in queste situazioni con coraggio e garbo è una delle abilità più importanti, e difficili, da padroneggiare per diventare un Essenzialista.
Senza, la ricerca disciplinata del meno l’essenzialismo rimane solo una teoria sulla carta, materiale per l’ennesima conversazione da aperitivo, qualcosa di superficiale ed effimero.
Chiunque può parlare dell’importanza di focalizzarsi sulle cose che contano di più, e molti lo fanno, ma è raro vedere qualcuno che osa seguire questo principio in prima persona. Non è una critica. Abbiamo le nostre buone ragioni per aver paura di rifiutare. Siamo preoccupati di perdere una grande opportunità. Temiamo di rompere gli equilibri, agitare le acque, fare terra bruciata intorno a noi. Il pensiero di deludere qualcuno che rispettiamo è insopportabile.
Non per questo siamo cattive persone. Siamo solo umani. Eppure, per quanto possa essere difficile dire no, non farlo può portarci a perdite molto più grandi.
Greg McKeown, nel suo libro Essentialist, scrive che una volta una donna di nome Cinthya gli raccontò di quando suo padre aveva deciso di passare una serata fuori insieme a lei, a San Francisco.
Cynthia aveva dodici anni, e lei e il papà avevano pianificato l’“appuntamento” per mesi, definendo il programma minuto per minuto: lei avrebbe assistito all’ultima ora della presentazione che lui doveva tenere, poi, verso le quattro e mezza, lo avrebbe raggiunto e se la sarebbero svignata in fretta, prima che qualcuno lo fermasse per parlargli. Avrebbero preso il tram per Chinatown, mangiato cinese (la loro cucina preferita), comprato un souvenir, fatto un giro turistico e poi si sarebbero «fatti un film», come amava dire suo padre.
Più tardi, sarebbero tornati all’hotel in taxi, avrebbero fatto una nuotata (il padre era famoso per riuscire a intrufolarsi in piscina dopo l’orario di chiusura), ordinato al servizio in camera un gelato con il cioccolato fuso e guardato la TV.
Prima di partire, discussero i dettagli più volte.
Anche l’attesa faceva parte del divertimento. Tutto stava andando secondo i piani finché, mentre uscivano dal centro congressi, l’uomo non incontrò per caso un vecchio compagno di università, nonché suo socio d’affari. Erano anni che non si vedevano, e Cynthia li guardò abbracciarsi con trasporto. “Sono così felice che tu stia lavorando con la nostra società!” disse l’amico. “Quando Lois e io l’abbiamo saputo, abbiamo pensato che sarebbe stato bellissimo ritrovarsi. Vogliamo offrirti una bella cena di pesce giù al Wharf, e ovviamente Cynthia è la benvenuta!”.
“È bellissimo rivederti, Bob” rispose il padre di Cynthia. “E la cena al Wharf mi sembra un’ottima idea!”.
Cynthia era avvilita. I sogni a occhi aperti di corse in tram e gelati con il cioccolato fuso si volatilizzarono in un istante. Come se non bastasse, lei odiava il pesce e chissà quanto si sarebbe annoiata ad ascoltare per tutta la sera i discorsi degli adulti.
Poi, però, suo padre aggiunse: “Ma non stasera. Cynthia e io abbiamo già in programma un appuntamento speciale, non è vero?”. Le fece l’occhiolino, la prese per mano e corsero fuori dalla porta, verso una serata indimenticabile a San Francisco.
Si dà il caso che il padre di Cynthia fosse Stephen R. Covey, autore de “Le Sette Regole per avere Successo”, scomparso poche settimane prima che lei raccontasse questa storia a Greg. Perciò rievocò la sera a San Francisco con profonda emozione. Quella semplice decisione, disse, “mi legò a lui per sempre, perché sapevo che per lui la cosa che contava di più ero io!”.
Stephen R. Covey, uno dei teorici del business e management più rispettati della sua generazione, era un Essenzialista.
Non soltanto insegnava regolarmente princìpi essenzialisti come “La cosa più importante è far sì che la cosa più importante rimanga la cosa più importante” a influenti leader e capi di Stato di tutto il mondo, ma li seguiva in prima persona. E in quel momento, con sua figlia, creò un ricordo che gli sopravvisse.
Guardandola in prospettiva, la sua decisione appare scontata, ma molti, al posto suo, avrebbero accettato l’invito per paura di sembrare maleducati o ingrati, o di farsi sfuggire la rara opportunità di cenare con un vecchio amico.
Perché è così difficile, sul momento, osare scegliere l’essenziale?
Innanzitutto, perché non ci è ben chiaro cosa sia essenziale, e allora restiamo del tutto indifesi. Quando invece abbiamo una certezza interiore, è come se un campo di forza ci proteggesse dal superfluo che ci piove addosso da ogni direzione.
Nel caso di Rosa, fu la profonda chiarezza morale a darle l’insolito coraggio delle proprie convinzioni. Nel caso di Stephen, fu la chiarezza dei suoi progetti per la serata con l’adorata figlia.
Sapere bene cos’è essenziale per noi ci infonde la forza per dire no al resto, in ogni circostanza.
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